March 3, 2016

RECENSIONE ONDAROCK SILVIO"DON"PIZZICA!!!

Al primo ascolto del terzo full length dei teramani Inutili ciò che prende forma nella mia testa e nelle viscere è una malsana malinconia per quell’esordio misto di psichedelia e noise dilatato e scontroso che metteva insieme i fantasmi di leggendarie creature nipponiche (Les Rallizes Dénudés, Flower Travellin’ Band) con la violenza New York style e le reiterazioni kraut-rock di troppi decenni fa. La consapevolezza dell’insalubrità di tale nostalgia giunge però presto, col passare degli ascolti di “Elves, Red Sprites, Blue Jets”, edito ancora dalla sempre sorprendente Aagoo Records (Colin Stetson, Father Murphy, Murcof, Parenthetical Girls, Xiu Xiu ecc.) e, con essa, l’entusiasmo di trovarsi finalmente di fronte a una formazione capace di mostrarsi coraggiosa, se può chiamarsi coraggio l'essere se stessi, sincera, in grado di innovare il passato e rinnovarsi con una qualità stupefacente.

Il fluire del tempo, del resto, per gli Inutili non è uno speranzoso e circolare eterno ritorno che invita a vivere il presente senza preoccuparsi di passato e futuro ma neanche una linea retta sulla quale muoversi avanti e indietro, in cerca di radici su cui fossilizzare le proprie certezze o obiettivi da raggiungere, ma è un insieme d’istanti sopra i quali i tre piazzano ordigni esplosivi pronti a saltare in aria al sopraggiungere dell’attimo seguente.
È per questo motivo che ogni vecchio brano, ogni passata produzione, ogni lavoro ormai superato è presto dimenticato, a volte, per loro stessa ammissione, nel vero senso della parola e, sia in chiave live sia in fase compositiva, l’improvvisazione, l’urgenza e la visione di un presente in fase d’imminente deflagrazione diventano necessità espressive.

Se con “Elves, Red Sprites, Blue Jets” sono apparentemente accantonate la psichedelia pura, le estreme dilatazioni mantriche, le ritmiche profonde e ossessive, lo stile che ha reso gli Inutili quello che sono è ancora vivo ed energico e, se quell’attitudine impro che ci aveva rapito è ora incanalata dentro strutture più standard, l’aspetto lisergico è servito con mezzi diversi, più simili a sferzate taglienti di follia che a lunghi viaggi ipnotici, grazie a un uso sensazionale delle due chitarre. Sono proprio loro, stavolta, le protagoniste indiscusse di questo nuovo capitolo; sono loro a rivelare la rigenerata anima degli Inutili, ora intenzionata ad aggredirci con cruda violenza dopo averci trascinato in un incubo, e tutto questo è presto smascherato dalla efferata opening “Red Spider Fever”, un tripudio rumoristico che attacca senza introduzione, senza lasciarci neanche il tempo di presentire.

Eppure, in quello che è a tutti gli effetti l’apice della produzione degli Inutili, saranno molteplici le materialità stilistiche che si intercaleranno. Tastiere e ritmiche vintage sullo sfondo di una vocalità che arranca cacofonica mettono insieme brani surreali al sapore di avanguardie sixties (“Robots”, “The Screaming Nature Of A Criminal”) e non mancano, ovviamente, momenti in cui sono l’aspetto lisergico e il sound psichedelico a fare da padroni (“On Acid Days”). Ad aggiungere sostanza e una dose notevole di carica e intensità, la diretta brutalità del garage-rock più sporco e scalcinato (“Turn Off The Television”, “We Can Stop At The Ocean For A Swim On The Way”).
Alle sei tracce della versione in vinile, se ne aggiungono altre sei in quella in cd; sei bonus track che poi non sono bonus ma parte integrante del lavoro, tanto da prospettare le cose più interessanti di tutto il disco. Inquietante psichedelia elettronica e cosmica dal sapore teutonico (“Definitive Decisions”, “Sea Eyes”), tribal-noise e minacciosi, elettrificati rituali di morte (“Sprites”) mantra destrutturati, decomposti (“Sunlight”) e sperimentazioni strumentali estreme (“Surfing Automa”, "Minus-Log") forniscono infiniti spunti dai quali iniziare a confondersi prima che sopraggiunga la fine.

Tentare un termine di paragone è impossibile senza finire in una sfilza infinita di nomi che parte dagli Ash Ra Tempel e finisce agli Shit And Shine. Definirne compiutamente lo stile è impossibile senza finire in una sfilza infinita di generi che va dallo space all’avant-rock. Quello che è possibile è ascoltare “Elves, Red Sprites, Blue Jets” in totale isolamento. Quello che è certo sarà una totale devozione alla migliore e più celata band italiana in circolazione, una delle poche realtà capaci di competere con l’estero, se solo volesse farlo davvero.

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